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Bakea e la bellezza di essere mostri

Scritto da Redazione Doctaprint
30 ottobre 2023
Bakea e la bellezza di essere mostri
Juan Carlos Paz: illustratore digitale, fotografo e sognatore

Vi è mai capitato di imbattervi in un mostro gigante, bianco e dai denti stondati, con quattro occhi, due corna e due ali, che se ne sta seduto comodo comodo sullo spuntone più alto di un’enorme parete di roccia rossa? E di vedere in un parco rigoglioso o su una spiaggia assolata una famiglia composta da madre, padre e figlio con tre occhi gialli e il naso a triangolo rosso, che ti sorridono pacifici? E avete mai sentito parlare del progetto della Ford “You are the key”, in cui la testa di uomini e donne diventa il telecomando dell’auto e il corpo la chiave a traccia?

Mostri, mostri, mostri, che a guardare bene di mostruoso hanno solo una forma inusuale e un sorriso indecifrabile. Ecco cosa c’è nella testa di Juan Carlos Paz, in arte Bakea.

Artista e scultore, Bakea ha studiato a Segovia prima di trasferirsi a Madrid, dove è stato art director presso la BBDO e la DDB, due delle agenzie pubblicitarie più importanti al mondo. Dopo quattro anni, ormai stanco del lavoro in pubblicità, nel 2010 decide di licenziarsi e di dedicarsi totalmente all’illustrazione. Da quel giorno, con impegno e dedizione ma anche con tanta fortuna, come racconta in diverse interviste, è riuscito a farsi spazio nel mondo dell’arte e del design e a collaborare con marchi prestigiosi come Mercedes, Ford, Google, Brugal, Coca-Cola, Amnesty International e tanti altri.

Con uno stile originale e unico, Bakea mischia nelle sue opere la fotografia e l’illustrazione digitale, fondendo personaggi in 3D e paesaggi reali. Molte delle sue illustrazioni sembrano ispirate alla mitologia giapponese sia per quanto riguarda i mostri (le maschere dell’anima, i draghi, i demoni) sia per le ambientazioni (boschi, laghi, foreste e deserti di rocce). Le sue creature, però, non fanno paura perché oltre ad essere ritratte nelle loro faccende quotidiane, come fare pupazzi di neve, fare l’amore, rilassarsi alle terme o pescare, hanno corpi, visi e vestiti dai colori vividi, in tonalità pastello. “Il colore è fondamentale nel mio lavoro – racconta Bakea. Il colore è tutto! È l’elemento a cui dedico più tempo. Lavoro sempre con la mia solita tavolozza di colori, che è la mia gamma preferita. Anche se il mio processo creativo parte sempre dalla carta: faccio prima degli schizzi a mano e poi passo al computer, fino a quando l’opera è finita.”

Guardando le sue opere sembra di entrare in un museo di storia naturale surreale e pop al tempo stesso, così come le sue sculture (serie “Taxidermy”), composte da mostri che sembrano impagliati, ricordano delle “scatole magiche” rinascimentali ma piene di colori e di ironia. “Tutto deriva dallo stesso concetto, il mio cervello è un pianeta con flora e fauna. L’idea è ricreare un’ambiente animale per raccontare come sono questi mostri e come si relazionano alle altre specie che abitano il pianeta.”



Benché la maggior parte della produzione di Bakea riguarda l’illustrazione e la scultura, la sua creatività non sembra avere confini, tanto da averlo spinto a confrontarsi anche con altre discipline, quali la pittura ad olio, i graffiti, la pirografia e la ceramica. E nel 2018 anche con la cucina. Oltre ad aver partecipato alla creazione del menu per il ristorante ibizenco Sublimation, del pluripremiato chef Paco Roncero, che unisce avanguardia culinaria e realtà virtuale, Bakea ha anche ideato, in collaborazione con il pasticcere Paco Torreblanca, un dessert mostruoso e squisito.

Nessuna nuova sfida sembra spaventare Bakea e neanche la possibilità del fallimento, consapevole del fatto che non possa esistere arte senza prove ed errori, proprio come sembrano suggerire i suoi strampalati mostri: siamo delle palme con tre occhi gialli e un ufo che ci vola tra i capelli di foglie (Palmero! 2014). Siamo piccoli mostri, un po’ folli e un po’ divertenti. Siamo esseri umani. A volte falliamo. Ecco perché non possiamo prenderci troppo sul serio e dobbiamo imparare a ridere anche delle nostre zone d’ombra.